OMELIA del 22 febbraio 2002 h.12.00 (Cappella Gesù Maestro)
Carissimi,
1. “Sono Io Giuseppe vostro Fratello”. Mi piace iniziare con voi questa conversazione familare, perché omelia significa appunto conversazione di famiglia, con le stesse parole che il Beato Giovanni XXIII usò la prima volta che fu visitato dai suoi parenti e amici, ancora increduli e quasi sbalorditi per la sua elezione al sommo Pontificato.
Sono io qui per associarmi agli sforzi formativi, della Facoltà preconizzata dallo stesso Sommo Pontefice il 22 febbraio di quarant’anni fa, e sono qui perché ancora mi sento un docente per voi con voi e in mezzo a voi per dare tutta la mia solidarietà e il mio sostegno agli ideali della civiltà classica e cristiana in cui ho creduto, che ho insegnato e che mi propongo anche, secondo le mie forze, di vivere e diffondere.
Avverto l’abbraccio e il calore della vostra amicizia e il vivere insieme a voi questi momenti mi trasmette serenità, mi sostiene, mi incoraggia, mi rassicura. E mentre vi ringrazio per tanti auguri e tante testimonianze di sincero affetto, dedico a voi questa prima celebrazione, secondo la carità del Buon Pastore, che ha affidato anche a me questo compito di pastore nella Sua Chiesa, che è in Austria, perché per la sua Parola e per la forza del suo Spirito ci confermi tutti nell’unica fede, nell’unico amore alla cattedra di Pietro, e nella gioia del servizio divino, fino al giorno in cui matureranno nella Patria Celeste le stagioni della Speranza.
E mi piace ricordare l’attaccamento alla Cattedra di Pietro che è stata un caratteristica dello spirito genuino del nostro Padre Don Bosco, che nella Basilica Vaticana, sta proprio sulla Statua in cattedra di San Pietro, ed è stata una caratteristica anche dei nostri Superiori, che per obbedienza al desiderio del Papa si sono impegnati a fondare e a gestire, nonostante tante difficoltà, oggettive e soggettive, il Pontificium Institutum Altioris Latinitatis (oggi Facoltà di lettere cristiane e classiche nell’UPS).
Mi piace ricordare che anche il bollo originale della Facoltà rappresenta appunto San Pietro in Cattedra con le chiavi in mano e benedicente. Che parole possiamo aggiungere noi a queste testimonianze di fede e di amore?
Mi piace dunque richiamare alla memoria quanto scriveva san Girolamo a papa Damaso in momenti difficili della storia della Chiesa e che possono riferirisi anche a situazioni attuali in quello che ci riguarda. Scrive s. Girolamo: “Con un furore che dura da secoli, i popoli d`Oriente continuano a scontrarsi tra loro, e riducono a brandelli la tunica inconsutile del Signore, tessuta da cima a fondo senza cuciture. Le volpi devastano la vigna di Cristo. In mezzo a cisterne spaccate e senz`acqua è difficile capire dove si trovi quella fontana sigillata, quell`orto chiuso da un recinto, di cui parla la Scrittura (cf. Ct 4,12). Per questo ho deciso di consultare la cattedra di Pietro, dove si trova quella fede che la bocca di un apostolo ha esaltato [dicendo: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivo]. A questa cattedra vengo ora a chiedere un nutrimento per la mia anima, lì dove un tempo ricevetti il vestito di Cristo [cioè il battesimo].
No davvero! Né l`immensità del mare, né l`enorme distanza terrestre hanno potuto impedirmi di cercare la perla preziosa. Dove sarà il corpo, là si raduneranno le aquile (Lc 17,37). Dopo che il patrimonio è stato dissipato da una progenie perversa, solo presso di voi si conserva intatta l`eredità dei padri. Costì [a Roma] una terra dalle zolle fertili riproduce al centuplo la pura semente del Signore; qui [in Palestina] il frumento nascosto nei solchi degenera in loglio e avena. In Occidente sorge il sole della giustizia, mentre in Oriente ha posto il suo trono sopra le stelle quel Lucifero, che era caduto dal cielo. Voi siete la luce del mondo, il sale della terra (Mt 5,13), voi i vasi d`oro e d`argento; qui da noi vasi di terra cotta e di legno attendono la verga di ferro che li spezzi e il fuoco eterno.
La tua grandezza, a dire il vero, mi mette in soggezione, ma la tua bontà mi attira. Io, vittima, attendo dal sacerdote la salvezza, e come una pecorella chiedo protezione al pastore. Metti da parte [o Padre Santo,] ciò che è invidiabile, sottraiti un momento al fasto dell`altissima dignità romana [che ricopri]: ecco [tu sei] il successore del pescatore, [ed è] con un discepolo della croce che io desidero parlare. Io non seguo altro primato se non quello di Cristo; per questo mi metto in comunione con la tua Beatitudine, cioè con la cattedra di Pietro. So che su questa pietra è edificata la Chiesa. Chiunque si ciba dell`Agnello fuori di tale casa è un empio. Chi non si trova nell`arca di Noè, perirà nel giorno del diluvio” (Girolamo, Le Lettere, I, 15,1-2: a papa Damaso).
Sorelle e Fratelli dilettissimi nel Signore, penso dunque e abbraccio tutti voi, in segno di gratitudine per il gesto colmo di affetto con cui siete qui a ringraziare con me l’Autore di ogni dono e benedizione e a rendere più ricca e solenne la lode alla Trinità nel giorno in cui posso celebrare la prima messa da vescovo in questa Università, e nel Quarantesimo anniversario del documento che come inestimabile servizio pastorale il Papa Buono ha pubblicato per la formazione dei presbiteri della Santa Chiesa Cattolica.
Siamo tutti noi la cattedra, la casa e la famiglia di Dio, per quel vincolo misterioso di reciproco amore che nasce in Dio e ci stringe in quella fraternità che rende ciascuno di noi custode e responsabile di ogni altro fratello o sorella.
Il vescovo Agostino ha creduto e insegnato che nella stessa misura e intensità con cui il gregge è affidato al Pastore, il pastore è affidato al gregge. Ed io posso affermare che in mezzo a voi vivo il significato di queste parole e la verità della relazione che queste stesse parole propongono e cioè amo e sono amato; cerco di dare luce, gioia, conforto e ancor di più riconosco di ricevere luce, gioia e conforto.
Permettetemi di esprimere i miei sentimenti con le parole dell’apostolo Paolo:”Mi siete diventati cari e per voi ho cercato di essere amorevole come una madre nutre e ha cura delle proprie creature.” (2 Ts 2,7).
Lo dico a voi, Fratelli nell’episcopato, lo dico a voi Professori dell’Università, lo dico a voi amici dell’Università Salesiana, lo dico a voi, studenti tutti, credenti o simpatizzanti, con la nostalgia e la commozione che accompagna ogni ritorno della memoria al mio essere stato qui in mezzo a voi. A voi è toccato, infatti, qui a Roma accompagnare e sostenere i miei passi nel mio ministero di superiore religioso. Più di ogni altra cosa, ricordo la vostra disponibilità, la fiducia, la stima, la vostra generosità; abbiamo camminato insieme, ricercando unicamente quei sentieri di Dio che, lentamente e non senza fatica, ci hanno permesso di scoprire i lineamenti di una Chiesa e di una Società Salesiana più entusiasta nella sequela di Cristo, più solidale nei gesti di fraternità, più vivace nella testimonianza evangelica.
Mi avete offerto la vostra docilità, mi avete dato coraggio con la vostra fedeltà, mi avete sostenuto nella complessità di situazioni incerte e difficili.
Vi ringrazio per tutte le volte che al mio timore e tremore avete risposto con fiducia e pazienza, e con le vostre energie avete sostenuto la mia fragilità. Ringrazio il buon Dio perché sulla mia strada non sono mancati incontri significativi, di personalità ecclesiastiche o di semplici cittadini; non sono mancati eventi relativi a persone, difficili da decifrare, con segni e sogni che talvolta hanno dirottato anche la mia attenzione, ma mi hanno arricchito in umanità, consegnandomi speranze, invocazioni, attese, grazie che hanno reso più paterno il mio ministero e concreto l’annuncio di Gesù Cristo.
Tutto questo mi rende profondamente grato e debitore, carissime sorelle e fratelli, nei confronti di tutti voi. All’augurio di essere strumento docile nella mani di Colui che tutto conduce a buon fine, alle speranze di corrispondere alla sua fiducia secondo il suo volere, aggiungete per me la certezza che, non per mio merito, ma per la forza che mi viene da Lui e dal suo Spirito, ogni richiesta sarà sorprendentemente possibile (cfr. Fil 4,13). E sostenete la mia preghiera che chiede e offre semplicemente disponibilità, continuate a sollecitarmi perché mio unico assillo resti l’amore per la Chiesa e la serva con umiltà e dedizione in tutti i lembi di umanità in cui lo Spirito la suscita, la conduce, la santifica.
Aiutatemi dunque con le vostre preghiere perché il Signore che ha voluto impormi questo peso, nella sua misericordia mi aiuti a portarlo. Pregate perché io sia forte e io prego perché il peso della vostra sofferenza non sia eccessivo. Se mi spaventa, dirò ancora con s.Agostino, il fatto di essere vescovo per voi, questo essere con voi mi consola. Per voi, infatti io sono vescovo; con voi sono cristiano. Se dunque trovo più gioia nell’essere stato redento con voi, che nell’esercitare per voi la funzione di capo, sarò più pienamente vostro servo, come vuole il Signore. Solo così mostrerò la mia riconoscenza a Colui che mi ha dato di essere vostro compagno nel servizio” (AGOSTINO, Discorso per l’anniversario della sua consacrazione episcopale, 340,1).
Su tutti voi, soprattutto sui giovani studenti, religiosi e religiose, laici e consacrati, e su di me invoco la condiscendenza e la benedizione della santa e adorabile Trinità.